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DANIELE CELLINI

DANIELE CELLINI

E L'EVOLUZIONE DELL'ACTION PAINTING

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LA TECNICA UNICA


L’originalità di Daniele Cellini sta nell’utilizzo di materiale organico di scarto (ad esempio bucce di banana, gambe di sedano, pelle di pollo, scarti di macelleria). Il lancio di questo materiale organico, intinto nel colore acrilico, lanciato sulla tela, arriva a sbattervi sporcandola di colore. Il continuo lanciare di materiale intriso di colore, e a tempo di musica, crea l’opera dell’artista.

La Tecnica viene presentata al Congresso Internazionale di Filosofia in Lingua Francese (evento biennale) tenutosi nel 2016 a Iasi (Romania), riconosciuta originale, la tecnica è di fatto unica nel suo genere come evoluzione dell'action painting, depositata agli atti con l'esposizione permanente di un’opera al Museo di Letteratura Rumena "Pod Pogor" a Iasi.

BIOGRAFIA

Daniele Cellini – Venezia 1977

A partire dalla definizione che nel 1919 ne diede Alfred H. Barr Jr. l’espressionismo astratto più che un preciso movimento è andato via via configurandosi come un vasto campo d’azione nel quale, si può dire durante tutto il corso del ‘900, si sono espresse tendenze artistiche fra loro anche molto lontane e sperimentazioni individuali fortemente caratterizzate e nient’affatto simili fra loro. Tutto ciò ha prodotto una filiazione di orientamenti che nel loro insieme concorrono oggi a formarne un quadro composito e polimorfo. A prescindere da una sua caratterizzazione in senso ristretto, quale quella proposta Robert Coates nel ’46 in riferimento all’arte statunitense dell’immediato dopoguerra, nel presente dell’Espressionismo astratto se ne accoglie un’accezione assai più ampia che include definizioni ed ambiti diversamente classificati e classificabili, quali, ad esempio, Action Painting, Color Field e Happening negli Usa; Informale, Arte Materica e Spazialismo in Europa; Gutajin Giappone.

Ma nonostante la diversità delle tecniche, dei contesti e delle aree geografiche al suo interno si possono individuare elementi e prospettive comuni che ne giustificano comunque una panoramica globale ed un inquadramento complessivo.

In primo luogo la negazione di ogni mediazione razionale per cui l’opera d’arte è pura, immediata e diretta liberazione della dimensione inconscia della vita affettiva, con il conseguente rifiuto della forma come progetto, idea e costruzione, spingendo alle estreme conseguenze una via in questo senso già tracciata a suo tempo dal Surrealismo.

In secondo luogo la messa in discussione di ogni tradizionale e consueta definizione dell’oggetto d’arte stesso, ora non più concepito come intervento tecnicamente convenzionale su un supporto standard (tela, pennelli, colore, ecc.) , ma la cui consistenza oggettuale è mutevole, arbitraria e dipendente dai contesti, al limite dell’aleatorio ed effimero quando, come nell’Happening, il pubblico stesso diviene parte dell’oggetto artistico stesso.

In terzo luogo il gesto immediato e non pre-determinabile, spesso azione improvvisata, nel quale il fattore caso assume un ruolo protagonista e talvolta prioritario, una vera e propria «destituzione ideologica» dell’artista che, recedendo da ogni precisa responsabilità autorale, si pone quale mediatore fra l’immediatezza per molti versi imprevedibile della produzione e l’universo irrazionale che la motiva.

È evidente a questo punto come in un «campo d’azione» così illimitato e non circoscrivibile ogni singola personalità artistica possa definirvi una propria progettualità (ovviamente in senso lato, «informale») ed individuarvi un proprio percorso creativo.

E questo il caso di Daniele Cellini, artista veneziano (o meglio “mestrino”, come ama definirsi) il quale a partire da una concezione creativa di assoluta originalità ne offre una prospettiva particolarmente interessante.

Punto di partenza del lavoro di Cellini è il cibo, da lui assunto non quale “scopo”, oggetto di ricerca e/o di raffigurazione, ma materiale da elaborare, trasformare, “metabolizzare”, cogliendone al contempo i significati simbolici, i rimando socio-culturali e le valenze materiche.

L’opera di Cellini si snoda dunque attraverso ampie metafore, nelle quali tele-tovaglie accolgono cibi-colori che nella loro organica e polimaterica consistenza indicano di volta in volta specifici percorsi, altrettante “storie sentimentali” evocate da una pluralità di stimoli che sorgono spontaneamente dalle infinite interrelazioni dell’emotività col cibo, col gusto, con la nutrizione.

Il cibo, la natura considerata nella sua dimensione alimentare, è dunque assunta da Cellini come preciso stimolo che il cibo stesso rinvia nelle sue diverse accezioni e qualità: cibo come origine (vegetale o animale), lavorazione, trasformazione, prodotto, consumo, degustazione, conservazione, ed infine degradazione ed adulterazione. Ad ognuna di queste accezioni Daniele associa valenze tanto materiche che discorsive: dall’immediatezza emotiva del desiderio (o della repulsione) a rimandi culturali più ampi ricchi di connotazioni ancestrali. Di fronte all’opera di Cellini la storia dell’uomo col cibo diventa strumento privilegiato d’accesso e di dialogo con l’interiorità inconscia, junghianamente considerata sia nei vissuti personali del soggetto (i suoi «complessi») che in riferimento alla più vasta portata culturale ed esistenziale degli archetipi collettivi.

Daniele Cellini, autodidatta di formazione al pari di parecchi altri artisti di questo genere (da Alberto Burri a Mark Rothko) e dunque scevro di retaggi accademici e vincoli ideologici di varia origine, è una personalità estroversa, brillante e disponibile. Animatore radiofonico e organizzatore di eventi pubblici egli scruta con curiosità e disincantata ironia i diversi contesti sociali con i quali di volta in volta si confronta filtrandone la sensibilità e la capacità emozionale, elementi questi che egli poi restituisce nelle sue opere.

Cellini lavora su grandi e medie tele, talvolta pre-trattate o anche pre-elaborate, sulle quali “proietta”, in vario modo, impasti di materia-cibo e colore, prevalentemente acrilico. Nel suo operare egli non disdegna nessuna delle “fondamentali” tecniche dell’Espressionismo astratto, daldripping, all’action painting, al grattage, allo splattering, con particolare predilezione al color crashing del “Gutaj Shozo Shimamoto, col quale egli avverte particolari affinità.

I suoi lavori si concretizzano tanto in singole opere che in istallazioni e performance.

Nel composito panorama odierno dell’arte, lascito di una post-modernità ormai agli epigoni e dal quale troppo spesso si vedono emergere posizioni falsamente restaurative come anche gratuiti ed effimeri atteggiamenti che poco hanno a che fare con la ricerca artistica, Daniele Cellini ci dimostra che si può ancora credere che l’arte possa “parlare all’uomo dell’uomo”, in una ricerca umile e costante della verità che si cela nei rapporti dialettici necessari e costanti del soggetto con i propri fondamentali, una ricerca messa in atto mediante una sapiente manipolazione della materia primaria del sostentamento, qui divenuta veicolo di contenuti simbolici e primario testimone di civiltà.

Musicologo e Filosofo

- Marco Giommoni -

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