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LA VIA DELLE SPEZIE

A partire dall'opera che fa da titolo e madrina a questo progetto artistico-culturale, 1602, ci permette di entrare nella storia, ed in particolare nella storia di Venezia, più di quanto possiamo immaginare.

La miscela di spezie con cui è stata creata infatti (coriandolo, cannella, chiodi di garofano, zenzero, pepe, noce moscata), contiene non solo preziosi e profumati pigmenti naturali, ma molto di più: essa racchiude la storia del rapporto tra Oriente e Occidente, secoli di guerre sanguinose, dominazioni, scambi commerciali, mode, scoperte, fondamentali influenze socio-culturali.

Basti pensare al pepe, ritenuto così prezioso tanto da meritarsi l'appellativo di “oro nero”, ed essere utilizzato come una vera e propria moneta di scambio.. o alla noce moscata, denominata la “spezia insanguinata” proprio perchè il suo commercio rappresentò per oltre 200 anni occasioni di gravi ostilità tra gli stati Europei, che se ne contendevano il monopolio per le sue eccezionali proprietà culinarie e farmacologiche.

Ma non sono da meno coriandolo e cannella. Il primo, utilizzato già dai Micenei e conosciuto con il nome di “Koriandono”, è la spezia che entra nella storia del Carnevale: dai semi rivestiti di zucchero infatti presero il nome gli attuali coriandoli, in un secondo momento pallottoline di gesso, e oggi dischetti di carta multicolori.

La seconda, considerata già nei libri di cucina dell'800 una delle 4 spezie (insieme a noce moscata, chiodi di garofano e pepe), quando si parlava di “un pizzico di spezie”; ma soprattutto legata fortemente alla leggenda della Fenice: si credeva infatti che il potere di rinascita  del  favoloso uccello sacro agli Egizi dipendesse dal nido che la Fenice si preparava con varie spezie, tra cui appunto la cannella, oltre ad incenso, mirto, mirra, legno di cedro.

 

Possiamo dunque asserire con certezza che, prima dell'entrata in scena dei Portoghesi (fine del XV secolo), i quali spinti dall’infante Enrico Il Navigatore riuscirono ad aprire una nuova via verso l’India circumnavigando il continente africano (la cosiddetta “Via delle Indie”), la Repubblica di Venezia, con i suoi mercanti, fu la protagonista indiscussa dei traffici commerciali tra Oriente ed Occidente, tra l’Europa e il Mediterraneo.

Grazie agli enormi privilegi commerciali di cui i veneziani erano stati titolari nell'Oriente bizantino, essi ebbero accesso alle rotte verso l'Asia e il Mar Rosso: dall’Oriente arrivavano infatti preziosi carichi di pepe che venivano condotti fino ad Aleppo,  Damasco o Alessandria d’Egitto per essere qui prelevati dai mercanti veneziani e portati fino a Rialto, dove erano venduti all'incanto da speciali funzionari di nomina statale denominati “messeri del pepe”.

Fu così che La Serenissima, grazie anche alla sua abilità diplomatica dimostrata nella scelta  di concentrare la sua supremazia esclusivamente nei commerci per mare, diventò una vera e propria potenza marittima, sfruttando la possibilità di formare delle colonie a ridosso dei porti strategici, come ad esempio Creta, Costantinopoli e Alessandria d'Egitto.

 

Gli effetti socio-culturali che il dominio di Venezia sul commercio delle spezie ha provocato sono ben dimostrati anche dal suo patrimonio artistico.

Possiamo citare innanzitutto il dipinto di Pietro Longhi - “La bottega dello Speziale” (olio su tela, 1752 circa) conservato alle Gallerie dell'Accademia: è la rappresentazione di uno Speziale intento a visitare una donna, mentre altri due clienti attendono il loro turno. Fanno da sfondo gli scaffali con i numerosi vasi che contengono appunto le spezie, utilizzate in questo caso a scopo medicinale.

Allo stesso modo possiamo notare nelle fastose cene dipinte da Paolo Veronese nella Venezia del Cinquecento, come al centro dei lussuosi banchetti adagiati su preziosi pizzi veneziani abbondassero leccornie di ogni genere, tra cui non potevano mai mancare le spezie, presentate e consumate in quelle occasioni sottoforma di dolci confetti, mentre tutt'attorno scintillavano i vetri di Murano e gli argenti cesellati.

 

La contaminazione orientale ha avuto effetti di enormi proporzioni in moltissimi ambiti: culinario, farmacologico ed erboristico, della profumeria, artistico, intellettuale (molte spezie erano considerate anche per i loro “poteri” sull'intelletto: si diceva per esempio che lo zenzero portasse concentrazione e lucidità), e non ultimo nell'ambito delle tinture.

Non dimentichiamo infatti che nel Cinquecento, quando Venezia è all'apice della sua grandezza, entra nel suo massimo splendore anche l'Arte dei Tintori, organizzata in Arte Maggiore (specializzata nel trattare la seta) e Arte Minore (specializzata nel trattare lana, cotone e lino). Nel 1560 viene pubblicato a Venezia il primo trattato di chimica tintoria “Plichto de l'arte de tentori”, a cura di Giovanventura Rosetti, il quale svela in questa opera oltre alle tecniche, anche le ricette dei coloranti, tra cui ricordiamo la miscela di curcuma e zafferano per ottenere le varie sfumature di giallo.

Quest'arte assume caratteri di notevole importanza, tanto da indurre il pittore veneziano Jacopo Robusti a servirsi di uno pseudonimo ad essa legato, ovvero Tintoretto: il padre Battista infatti, era un tintore di tessuti di seta.

 

Ecco che ripensare “La via delle spezie” oggi, mentre ammiriamo le opere qui esposte, ci offre l'enorme privilegio di sentirci al centro di una dimensione multiculturale che, partendo dall'India, passando per l'Asia e il Medioriente, ci riconduce nuovamente a casa, approdando ancora una volta a Venezia, accolti dalla magnificenza del suo inestimabile patrimonio storico-culturale ed artistico.                                                                            

 - Elena Cesca -