IL MONOLOGO IDEATO E SCRITTO DA DANILO "LEO" LAZZARINI, SCRITTORE, CONSULENTE STORICO E ATTORE.
Quando nacqui, un po’ più tardi veramente,
Una fattucchiera si prese cura di me,
Pregata da mia madre,
Donandomi quella salute che sembrava mancarmi.
E mi piace immaginare che in quel dono,
Seppur dono,
La mia anima contrasse un debito con il mondo, condannandomi a
possedere tutte quelle doti che, il mondo in esse vi si trova
assetato.
Condannandomi a trovar poesia in ogni mio gesto,
in ogni mio dire,
Tanto che l’esser quello che sono,
Più che arbitrio, mi parve obbligo.
E non mi stupii dell’esser quel che sono,
perché di quel che sono ne seppi poco o nulla,
Di quel travaso di cose che dall’alto e dal basso mi giungevano
come marea feconda, qualche volta inopportuna,
Potrei dirvi il come ma non il perché,
E lo stupore è figlio della sorpresa,
mentre quello che fui e ancora sono,
Fu figlio della necessità.
Son famoso forse, per le cose meno importanti della mia vita...
Non che l’amore di una donna,
O di molte, non lo sia...
Non è certo questo che intendo dire,
Ma di quel che ho fatto con le donne, si trattò di reciproco inganno,
di cui non si deve tener conto, perché quando l'amore vien di
mezzo,
di solito, in due ci si inganna.
E di nulla potrei averne colpa, purché colpa non sia il donar
amore...
E mi si permetta un vernacolare appunto nel dir in leggero modo
che io credo che la donna di quell’amor ne gode di più dell’uomo,
Poiché, senza dubbio alcuno,
In casa sua avvien la festa...
Ed io affrontai amando quell’amor come numero,
Si,
Quello sfuggevole P greco che della misura si fa beffe.
Di quel numero dicevo,
che a misurarlo ci si stanca,
di quella stanchezza arrotolata sui ricordi,
Ma che un ansito,
Un sospiro,
ne rinnova la sostanza;
E dimentico del sapere,
E del “già provato”,
Ancor si riprova a “pesarne” la distanza...
E seppur del buon rapporto tra diametro ed il cerchio ogni cosa
dir si possa,
di misurarne di quel numero la fine,
è impresa da Titani,
E nel domani,
Tale arguzia,
Io vi posi.
Eh, il domani...
Il domani è sempre oltre,
è un immobile trascendenza che si oppone al qui e ora...
Si, mi ingannai, ma fu inganno dolce,
Che la fine,
Non venne mai.
E così in ogni donna,
le donne tutte,
E il loro volto uno soltanto...
Che nel diverso frusciar di labbra di quella morbida materia che
sussurra alla mia pelle,
di quell’uno mascherato da molteplici visioni,
di quella pletora di amplessi,
fu come unico dipinto a formar la donna mia su cui giurar come su
libro sacro,
Che fedele io fui a lei e a lei soltanto.
Ma io ho voluto... e voglio andare oltre,
Perché, a parlar di queste cose, è come seguir di un fiume la
corrente e sapere, senza sorpresa, che alla fine il mare giunge.
Ben diverso è il remar di contro fino alla prisca sorgente,
Cimentarsi con i gorghi della politica,
Le profondità della filosofia,
E, alla fine, con le impetuose correnti della storia;
Ed io, allora, come novello Omero a tradurre in lingua quella storia
che fu anche la nostra.
E non fatevi ingannare da quella mia fuga,
che un bel fuggir meglio di maschera, mi travisò il viso.
Ed eccomi, ora, ancora qui,
in questa mia Venezia,
In questo crogiuolo dove il nulla diventa tutto,
Dove il cielo pascola le nubi abbeverandole in quest’acqua
riempita di marmo,
Q u i , o g n i c o s a m i s e m b r a ri f u l g e r e ...
Ma credo che il tediarvi con lunga elegia,
non sia cosa buona se con ciò intendo misurare
la vostra pazienza e cortesia...
Eppure,
Il ricordare,
Come belletto pone sul viso un’altra giovinezza,
Ed il ripeter con memoria fine,
ogni cosa rinnova con misurata certezza.
E allora non abusando oltre del vostro cortese agire,
Io mi presento a voi, Belle Signore e Nobili Signori:
Sono Giacomo Girolamo Casanova.